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Fusioni di Comuni praticabili se la Regione aiuta i progetti

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I recenti risultati dei referendum consultivi sulle fusioni di Comuni in Emilia Romagna (1. Malalbergo e Baricella; 2. Castenaso e Granarolo; 3. Fiscaglia e Ostellato) e in Veneto (1. Cartura, Conselve e Terrassa; 2. Masi e Castelbaldo; 3. Frassinelle Polesine e Polesella; 4. Carrè e Chiuppano; 5. Longare, Castegnero e Nanto) consiglierebbero quantomeno una cosa da fare e una da evitare con l’obiettivo di una politica aggregativa che concretizzi una «filiera degli enti locali» più efficiente, efficace ed economica, ma soprattutto capace di assicurare diritti e servizi migliori ai cittadini.

Cose che, come ha evidenziato l’associazione nazionale piccoli Comuni d’Italia, non sempre avvengono.

Il ruolo delle Regioni
Quanto alle cose che riteniamo di suggerire per migliorare le procedure, il da farsi competerà certamente alle Regioni. Queste, infatti, dovranno approvare le migliori norme di riordino del loro sistema autonomistico territoriale, introducendo previsioni più utili a esercitare le funzioni di area vasta e ad attualizzare le loro leggi di dettaglio sulle unioni/fusioni, ovunque obsolete, nel senso di renderle più attente alle procedure tecnicamente più assistite nella fase generativa del loro insieme ovvero, nel caso di fusione, del nuovo Comune.

Sta sempre alle Regioni ben individuare i quorum referendari, gli strumenti informativi per la cittadinanza chiamata al voto e la formazione del consenso abilitativo alla generazione del nuovo ente, che tenga debitamente conto dei singoli Comuni eventualmente dissenzienti e prescrivere adempimenti specifici preventivi a carico dei Comuni proponenti che motivino il ricorso all’istituto, specie nella parte in cui deve ravvisarsi la convenienza economico-patrimoniale e finanziaria della proposta. È necessario individuare finanziamenti ad hoc da destinare a contribuire alla spesa corrente, attesa la naturale precauzione di vincolare la contribuzione straordinaria decennale statale ad assicurare la solidità del nuovo Comune e gli investimenti indispensabili.

Cosa non fare
Per «differenza» le cose da non fare riguardano la pericolosità di esperire tentativi in tal senso, spesso perpetrati da sindaci non più candidabili, per avere esaurito il numero dei mandati consecutivi, ovvero da primi cittadini che suppongono, erroneamente, di utilizzare il finanziamento statale di 1,6/2 milioni di euro annui per un decennio per coprire le loro malefatte contabili sottaciute artatamente alla loro collettività. Non ci si può sottrarre agli obblighi di chiarezza dell’iniziativa quanto al dovere di far conoscere, attraverso uno specifico progetto di fattibilità, l’esistente, il percorso programmato e il punto d’arrivo, tanto da rendere il voto dei cittadini più consapevole di quanto invece avviene oggi, quasi ovunque. Sarebbe utile, inoltre, sentire preventivamente, ricorrendo anche a consultazioni telematiche provviste delle necessarie cautele, la collettività di riferimento con la quale valutare la convenienza o meno di ricorrere alla fusione.

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