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L’estromissione della politica dalle nomine dei manager della Salute non è sufficiente

Si sta facendo strada nel Governo l’idea di riformare la disciplina delle nomine nella sanità pubblica, tutte rimesse sino ad oggi alla politica, sia in via diretta che indiretta, quest’ultima esercitata dalla stessa di «seconda mano», attraverso la prerogativa attribuita ai manager aziendali di scegliere i già «primari» e la dirigenza che conta sul piano gestionale. C’è la tendenza dei pentastellati a voler completamente sottrarre l’individuazione dei vertici dell’aziendalismo della salute ai voleri della governance politica regionale. Di contro, ci sono le resistenze della Lega ad accettare questa radicale espulsione delle Regioni dall’incidere politicamente sulle anzidette nomine. Al di là della tesi in gioco, di per sé insufficienti a garantire le migliori scelte professionali, necessiterebbe individuare e circoscrivere proposte alternative all’attuale sistema delle nomine, soprattutto chiarendo le metodologie selettive prescelte che, se sottratte all’attuale completo dominio della politica, occorrerebbero che fossero indirizzate verso l’espletamento di procedure agonistiche, quantomeno del tipo quelle concorsuali adottate per i segretari comunali. La richiesta del M5S è comunque innegabilmente apprezzabile perché, se condivisa legislativamente, darebbe modo di stimolare un cambiamento in meglio, favorendo l’ingresso delle garanzie meritocratiche nei processi selettivi del ceto dirigente della salute e tagliando, così, i cordoni che legano indissolubilmente la dirigenza del sistema sanitario alla politica, che sino ad oggi l’ha nominata e dominata ovunque, a tal punto da registrare punte di asservimento assoluto nelle regioni del sud, di alcune del centro e nelle isole.

 

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