Email
fondazionetrasparenza@gmail.com

L’iter della legge quadro c.d. Boccia: modifiche, speranze e preoccupazioni

Scarica l'articolo in PDF

«Ripartire con il federalismo fiscale», messo da parte colpevolmente per oltre 10 anni, sembra essere la più attuale parola d’ordine del Governo. Ciò allo scopo di pervenire ad una disciplina attuativa univoca del regionalismo differenziato, quantomeno sul piano dei principi e dei criteri essenziali per generare, nell’eventualità, l’esercizio coordinato della migliore competenza legislativa regionale ragionevolmente asimmetrica, che sia, comunque, garante dell’unità sostanziale della Repubblica.

È quanto si evince dalle consistenti modifiche, negoziate dal ministro Francesco Boccia con M5S e Matteo Renzi, apportate alla bozza di «legge quadro» elaborata dal medesimo ministro Francesco Boccia e già condivisa in sede di Conferenza Stato-Regione. Un testo che si presume possa essere approvato a breve dall’Esecutivo, per poi passare all’esame definitivo del Parlamento.

1. Un testo che sembra definitivo, salva condivisione del Parlamento
Quello approntato appare essere il disegno di legge destinato a (ri)mettere d’accordo tutte le Regioni in sede concertativa, anche perché – nella sostanza – rinvia il tema del «regionalismo asimmetrico» (e qui appare sorprendente la dichiarata acquiescenza di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) e sollecita l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni e l’attivazione concreta del federalismo fiscale con tutto ciò che ne consegue. Costituisce pertanto un ulteriore adempimento da perfezionare in sede di Conferenza Stato-Regioni, atteso che modifica sensibilmente il testo ivi condiviso il 28 novembre 2019, a sua volta implementato rispetto a quello originariamente predisposto dal nuovo ministro degli affari regionali. Una bozza, quest’ultima, che ha sollevato a suo tempo non pochi dubbi in relazione ai suoi contenuti e alla non esaustività del confronto formatosi sia in sede concertativa, soprattutto da parte delle Regioni del Mezzogiorno come al solito resesi poco attive, che di approfondimento da parte degli addetti ai lavori.

2. Qualche consapevolezza in più e qualche disattenzione in meno
Il dibattito che ne è seguito, persino quello formatosi in aula parlamentare in occasione del question time, ha fornito prova, altresì, di un approccio al tema non sufficientemente qualificato, attesa la prevalenza della manifesta esigenza politica di mettere d’accordo tutti a prescindere da tutto. Una volontà, fondata peraltro sul dovere irrinunciabile di recuperare i notevoli e colpevoli ritardi di applicazione di provvedimenti attuativi della Costituzione revisionata nel 2001, che ha prevalso sul dovere di approfondire scientemente il contenuto del testo definito, soprattutto in relazione alle sue ricadute concrete in tema di uniforme esigibilità reale dei diritti sociali connessi e di godimento collettivo delle funzioni fondamentali degli enti territoriali nonché di individuazione sistemica dei criteri volti a determinare un intelligente coordinamento dei singoli ricorsi regionali all’art. 116, comma terzo, della Costituzione.

Al riguardo, è apparsa francamente impropria la ricorrente definizione di «autonomia differenziata», cui fa troppo spesso errato ricorso la politica (e non solo) nell’approcciarsi alla tematica, che rappresenta un riferimento assolutamente errato sul piano squisitamente concettuale, dal momento che mette insieme un aggettivo assolutamente pleonastico, sovrabbondante rispetto al sostantivo che si intenderebbe qualificare. Ciò in quanto non è di per sé concepibile l’esistenza dell’autonomia senza che la stessa possa distinguersi proprio per differenziazione di esercizio delle diverse opzioni in gioco da scegliere, entro i limiti fissati dalla Costituzione. Ciò in forza della riconosciuta libertà di potere individuare le modalità organizzative/erogative, riconosciute come più adatte a garantire alle collettività di riferimento le prestazioni essenziali e le funzioni istituzionali attribuite al sistema autonomistico territoriale. Nel caso che ci occupa, alle Regioni di potere attrarre a sé alcuni ben individuati segmenti afferenti alle diciannove materie di competenza legislativa concorrente e alle cinque affidate a quella esclusiva dello Stato.

Una specificità che non lascia alcuno spazio neppure all’immaginazione di un concepimento di alcuna autonomia senza diversificazione competitiva tra gli enti territoriali che ne godano costituzionalmente, ancorché da esercitarsi con intenti collaborativi nel senso di perseguire l’unità giuridica ed economica della Repubblica e un godimento uniforme e universale delle prestazioni essenziali rese, così, da ciascuno di essi alla collettività nazionale.

La differenziazione dell’essere istituzionale delle Regioni costituisce, infatti, la prerogativa essenziale dell’autonomia e lo spessore concettuale del suo esercizio dei relativi poteri determinanti la sua esistenza dinamica. Essi potranno, quindi, ben determinare, nei limiti fissati dalla Carta, la loro organizzazione attraverso le leggi di dettaglio, le scelte e gli impieghi finanziari, la programmazione, la fiscalità entro i limiti fissati dalle leggi, le previsioni riguardati le rete dei controlli, eccetera. Il tutto nell’esaltazione di quella autonomia che, in una recente occasione pubblica, è stata correttamente ritenuta dal Capo dello Stato come posta a tutela dell’unità nazionale a tal punto che, se correttamente esercitata, ne rafforza il concetto e la sua concreta realizzazione.

Una caratteristica, questa, da esercitarsi finanche nell’ipotesi di commissariamento, ex art. 120, comma secondo, della Costituzione, in caso di conclamato inadempimento degli organi gestori regionali. Ciò in considerazione che il nominato commissario ad acta ha l’obbligo di agire in vece degli organi gestori sostituiti (Presidente, Giunta e Consiglio regionale ma non in sede legislativa), ma dotato della stessa autonomia riconosciuta dalla Carta all’ente di riferimento e non già nell’esercizio di un mandato dell’organo statale commissariante che ne fissasse minuziosamente le scelte da effettuare bensì in ossequio agli obiettivi fissati dal costituente, giustificativi dell’intervenuta attività sostitutiva.

3. La scansione dei titoli del testo della bozza condivisa
Rispetto alla iniziale bozza elaborata dal ministro Boccia e implementata in sede di Conferenza Stato-Regione, quella cui si fa odierno riferimento è composta da soli tre articoli dei quali il primo dedicato agli Obiettivi e previsioni per l’attribuzione alla Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, nei confronti dei quali valgono le medesime perplessità espresse sull’originario testo perfezionato a fine novembre 2019 , il secondo titolato Livelli essenziali delle prestazioni e il terzo riferito alla Perequazione infrastrutturale.

3.1 I livelli essenziali delle prestazioni, la priorità
Il problema è capire se quanto preteso dai due partner di governo sia sufficiente a determinare, finalmente, i livelli essenziali delle prestazioni – riferiti, quantomeno, a sanità, sociale, istruzione e trasporti pubblici locali, garantiti da una perequazione al 100% – e ad introdurre la nuova connessa metodologia della finanza pubblica, fondata su costi /fabbisogni standard supportati, alla bisogna, da una quota della perequazione ordinaria. Quest’ultima compensativa delle differenze tra quanto le Regioni più deboli incassino di proprio e quanto calcolato per assicurare alla collettività i primi e le funzioni fondamentali degli enti locali (art. 117, comma 2, Cost. rispettivamente individuati nelle lettere m e p). Al riguardo, sarebbe stata ritenuta sufficiente per raggiungere l’accordo la previsione di un termine per le strutture tecniche di individuare i Lep, che – per quanto sanzionato – potrebbe essere causa di un altro inadempimento da aggiungere a quelli numerosissimi che hanno ritardato sino ad oggi l’attuazione della legge 42/2009 e dei suoi decreti delegati del biennio 2010/2011.

3.2 La ridistribuzione solidaristica per partire uguali con costi e fabbisogni standard
L’altra richiesta accolta dal Governo ha riguardato l’attivazione, oltre che della perequazione ordinaria, anche di quella infrastrutturale, relazionata agli investimenti previsti per le aree più deboli del Sud per oltre 3,4 miliardi all’anno per dieci anni. Una previsione apprezzabile che, così come l’altra, abbisogna tuttavia di una maggiore chiarezza realizzativa, solo che non si vogliano usare entrambe come sasso buttato nello stagno per conseguire l’ok politico-parlamentare alla proposta bozza di legge quadro. Un escamotage limitato, pertanto, a fare rumore e schizzi inutili e non certo a realizzare il cambiamento radicale del sistema di finanziamento pubblico territoriale direttamente funzionale a rendere su tutto il territorio nazionale uguali prestazioni e servizi, riferiti ai diritti di cittadinanza. Il tutto, con – a valle – la rideterminazione coordinata, per le Regioni che lo pretenderanno, delle loro competenze legislative/regolamentari a mente dell’art. 116, comma 3, della Costituzione.

4. Le perplessità del «buon padre di famiglia»
Ad una tale preoccupazione è legittimo pervenire a causa della triste esperienza vissuta dal 2001 sino ad oggi con le neoprevisioni costituzionali allora insediate, ma non rispettate, riguardanti: – nell’art 117, l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali da garantire a tutti e ovunque; – nell’art. 119, l’introdotta autonomia finanziaria del sistema autonomistico, esercitato attraverso tributi ed entrate propri, compartecipazioni al gettito erariale e la «teorica» istituzione di un fondo perequativo, mai costituito; – per l’appunto, nell’art. 116, introduttivo del regionalismo differenziato. E’ dunque continuato tutto come prima, nonostante l’attuazione dei precetti costituzionali (art. 117, riferita solo ai Lea determinati con dpcm 29 novembre 2001 e ridefiniti con DPR 23 aprile 2008, e art. 119, con la legge delega 42/09 e i dieci delegati attuativi). Un binomio costi fabbisogni standard, per esempio, per la salute (ma non solo) mai valorizzati, sebbene individuati. Stessa cosa con i fabbisogni standard per gli enti locali, solo di recente tornati di moda dopo i macroscopici errori compiuti a seguito della penosa esperienza dei questionari individuati, predisposti e all’epoca trasmessi alle autonomie locali. E ancora. Con un fondo di perequazione neppure abbozzato, peraltro reclamato prepotentemente, nel suo funzionamento a regime, dalla Corte costituzionale nella recente sentenza 4/2020 che ha in proposito rimproverato il legislatore per l’inadempienza. In buona sostanza, si è continuato ad andare avanti nei settori più sensibili come se la revisione costituzionale del 2001 non fosse mai avvenuta.

5. Lo scandaloso inadempimento
Il massimo lo si è raggiunto con la perequazione infrastrutturale, ben prevista nell’art. 22 della legge delega 42/09, che aveva trovato pronta attuazione all’epoca con l’adozione del DM 26 novembre 2011, pubblicato ben sei mesi dopo (G.U. 1 aprile 2011). Un provvedimento ben concepito che scandiva tempi e modalità della ricognizione del bisogno infrastrutturale del territorio nazionale, principalmente del Mezzogiorno, propedeutico ad individuare le ineludibili priorità relative per singolo settore di intervento, a partire da quello sociosanitario. Un atto indispensabile per rendere tutti gli enti territoriali uguali al nastro di partenza per fare sì che si realizzasse quell’uguaglianza sostanziale dei servizi da rendere alla collettività e da consolidare nel tempo con le neointrodotte tipologie di finanziamento. Difficile, infatti, fare funzionare, per esempio, una sanità in presenza di alcune regioni attrezzate delle migliori strutture e tecnologie contrapposte ad altre che hanno il loro rispettivo patrimonio produttivo fatiscente e obsoleto. Un dato, questo, che rende possibile oggi quella mobilità passiva della salute che conta circa 5 miliardi all’anno, sottratti alle regioni povere per arricchire i “ricavi” di quelle più ricche, le solite.

6. L’auspicio
Ben venga nella prossima sessione del Consiglio dei ministri, la condivisione formale della legge quadro c.d. Boccia, così come conciliata tra i partner di governo, purché non vengano successivamente consentiti, in sede di esecuzione, gli stessi errori del tempo remoto, che sembrano però essere più che verosimili, dal momento che prevede tempi e strumenti che hanno il sapore del solito rinvio ad libitum dell’introduzione a regime degli strumenti fondamentali sui quali la stessa fonda la sua utilità.

Articoli correlati

Ricerca avanzata

Iscriviti alla nostra newsletter

Per restare sempre aggiornato sulle prossime iniziative della Fondazione

Petizioni online